Image Alt

La “Bocca dell’Inferno”: un racconto di un passaggio agli inferi difeso dal diavolo Macigna

La “Bocca dell’Inferno”: un racconto di un passaggio agli inferi difeso dal diavolo Macigna

“Una storia popolare
di un varco agli Inferi da una impervia spelonca
che si apre sotto la cittadella,
la “bocca dell’Inferno”,
come una nuova Gerusalemme siciliana
difesa da una perfida creatura, Macigna
che veniva fuori dal torrente che si riversa a valle
e trascinava nel baratro
quegli audaci fanciulli
che, per diventare grandi,
osavano sfidare quel drago dalla gola del Carapè”.

(Da “Gratteri da Crater, coppa Graal: grezzo diamante nella concava roccia” di Marco Fragale)

“Ci sono luoghi che parlano e non hanno la bocca, vicoli che narrano senza un cantastorie, vedute che incantano curiosi passanti…”. In tal modo Marco Fragale descrive Gratteri nell’incipit della sua poesia – Quella viuzza del mio borgo – terza classificata al Premio Internazionale Edoardo Salmeri 2015.

E sembra proprio essere così, perché mai come in questo caso, il nome popolare di un luogo potrebbe dare adito di credere ad antichi cunti tramandati da generazioni che risulterebbero essere significativi dal punto di vista linguistico-antropologico, facendo di Gratteri il borgo più misterioso delle Madonie.

Stiamo parlando di una valle, tra due pendici montuose, a forma di un cratere, sospesa al cielo tra due mani divine, tra cocenti rocce e il mar degli Etruschi (appellativo con cui veniva denominato anticamente il mar Tirreno), che celerebbe arcane leggende della Sicilia più autentica. Su questa naturale terrazza sul mare, è incastonato a 670 m s.l.m., come diamante grezzo, un caratteristico villaggio medievale, celebre in passato per la presenza di cristalli di berillo.

Si tratta di una amena vallata attraversata da un gelido torrente, il Crati, che scendendo giù dalla montagna di Pizzo Dipilo ne attraversa l’abitato per poi riversarsi a cascata nel dirupo del Mulinello, verso la contrada Mancipa e sopra la parte vecchia dell’abitato chiamata popolarmente Conigliera e Minnulidda.

Gli abitanti delll’antico borgo madonita nominavano tale precipizio “A vucca o nfiernu” (la Bocca dell’inferno) poiché, secondo la fantasia popolare, esisterebbe un varco agli Inferi, proprio al di sotto della fortezza madonita, come una nuova Gerusalemme siciliana, difesa da una perfida creatura, Macigna (Antonina Lazzara, classe 1922, intervista 2007).

È questa una delle leggende tramandate nei secoli. Si racconta infatti che tale diavolo, dalle sembianze di drago, verrebbe fuori all’improvviso da quella spelonca per afferrare quegli audaci fanciulli che, per diventare grandi, compivano il rito di sporgersi dal precipizio della Dufìsa (Giuseppe Cirincione, classe 1918, intervista 2013).

Così narravano le nonne ai nipoti più piccoli, soprattutto quelli più vispi e irrequieti, per  cercare di tenerli lontani dai pericoli dei burroni o dai torrenti. Difatti, si voleva far credere, che tale mostruosa creatura, afferrasse il fanciullo trascinandolo con sé nelle viscere della terra o dentro l’acqua dei pozzi (Maria Antonina Cirincione, classe 1913, intervista 2007).

Fu per questo che, in un tempo immemore, venne eletto l’arcangelo Michele, a difesa del borgo, che, con la sua lucente spada, ricaccia quella bestia nell’abisso. Ancora oggi, delle pie donne recitano una singolare litania all’Arcangelo Michele:

San Michieli arcancilu oh risplendenti / Vui siti lu meru Ancilu di Diu / sutta lu pedi tiniti un serpenti / chidda è la spada chi vi detti Diu / Tiniti li volanzi giustamenti / pisati st’arma e purtatila a Diu” (Antonina Lazzara, classe 1922, intervista 2007).

Ad ogni modo, oltre ad una significativa valenza antropologica che potrebbe probabilmente assumere tale racconto, un aspetto interessante sarebbe anche quello lessicale poichè il termine Macigna, potrebbe essere inteso come variante di Macingu che, dall’antico siciliano, designerebbe proprio il demonio.

A tal proposito, il Vocabolario etimologico siciliano alla voce Macingu, riporta: “Macingu, nome che la bassa gente appropria al diavolo, satanasso, satanas, diabolus” (PASQUALINO MICHELE, VSE 1785). Il Nuovo Vocabolario Siciliano di Antonino Traina chiarisce: «forse dal greco màchimos, pugnator, bellicoius (macchinatore, orditore, demonio) oppure forma corrotta dal lat. malignus» (TRAINA ANTONINO, VS, 1868).

A proposito del termine siciliano Macingu e del suo significato antropologico, l’antropologo Antonino Buttitta sostiene che esso andrebbe connesso a «tutte quelle forme di credenza, riscontrabili presso i popoli più disparati, che […] sono da ricondurre alla stessa concezione di una forza segreta operante nell’universo e presente nell’accadere dell’insolito» (BUTTITTA ANTONINO, op. cit.). L’antropologo, pone in relazione il rispettivo significato del termine macingu (< machineus), con il concetto melanesiano di mana ‘diavolo’ e quello latino di numen ‘destino, imprevisto, rovina’ (IBIDEM).

Tuttavia, la stessa espressione avrebbe assunto anche altre sfumature semantiche all’interno del territorio siciliano. Da uno studio linguistico condotto dall’Università di Palermo sul lessico della cultura dialettale delle Madonie, ad esempio, si evince che i nomi macignu, macingu e macinga, sono stati individuati anche a Bagheria, Petralia Sottana e Castelbuono, associati ad un ‘forte vento vorticoso’ (SOTTILE ROBERTO, 2014, I nomi dei venti in Sicilia tra toponomastica, geomorfologia e “mondo magico”. Possibili itinerari di ricerca – In Studi linguistici in onore di Lorenzo Massobrio, pagg. 957-970).

In ogni caso, nella tradizione del folklore siciliano, ad esempio, sono presenti diversi racconti di mostri leggendari e creature mitologiche attestati in diversi angoli della Sicilia con caratteristiche simili a quello gratterese di Macigna. È il caso del Sugghiu, un misterioso mostro dall’aspetto spaventoso che abita le zone costiere, le paludi e gli acquitrini di numerosi borghi e contrade dell’isola.

Le dicerie popolari raccontano come i primi avvistamenti del “sugghiu” sarebbero da collocare nel 1800, secolo in cui la misteriosa creatura avrebbe fatto numerose apparizioni lungo la costa tirrenica o, ancora, nei comuni della Valle dell’Alcantara, a Brolo, a Torre Archirafi e nei boschi delle Madonie (GUGLIELMINO DEBORA, op. cit).

Tale credenza su un mostro di Loch Ness nostrano è talmente radicata nel folclore locale, da aver forgiato persino alcuni modi di dire e soprannomi locali anche a Gratteri in cui non è inusuale sentir additare in maniera spregiativa qualcuno con il termine “macignazza” (Giuseppa Lanza, classe 1922, intervista 2015).

A proposito di alcuni nomi di mostri del folclore siciliano, di recente, alcuni giovani studiosi universitari appassionati nel genere cinematografico “Monster”, hanno fondato una rivista di cinema specializzata, che si è occupata anche dei bestiari della tradizione siciliana riportando tre significativi esempi di creature mitologiche molto simili a Macigna (BERTA MATTEO, SIVIERI ALESSANDRO, SICLARI GIOVANNI, La tradizione sicula con le sue creature mitologiche e mostri paurosi, in monstermovieitalia.com, 2020).

La Biddrina

Un animale mitico che pare abiti nelle zone umide delle campagne. Se ne parla molto in provincia di Caltanissetta. Il termine Biddrina, secondo alcuni, deriva dall’arabo e indica un grosso serpente acquatico. Sarebbe una biscia di enormi dimensioni (almeno sei metri), con la testa simile a una grancassa e una colorazione tra il verde e il blu. Pare che includa i tratti di un drago e di un coccodrillo.

È visibile prevalentemente di notte, in particolare per via degli occhi rossi e luminosi come fari. Si aggira tra gli alberi e le canne, mangiando capretti, agnelli ed esseri umani. Beve l’acqua sulfurea che scorre nei pressi delle miniere, acquisendo forza e immunità ai danni fisici. La leggenda vuole che una comune biscia, rimanendo nascosta per sette anni, possa diventare una Biddrina come per magia.

La Marabbecca

Dall’abisso del folklore siciliano, tra le ombre più oscure della terra, si annida la Marabbecca, una creatura mostruosa che a volte si presenta come una donna e altre come un mostro che vive nei pozzi e nelle cisterne d’acqua in attesa che i bambini e gli adulti vi caschino dentro.

La Marabbecca, spauracchio inventato delle madri del mondo rurale per cercare di tenere lontani i propri figli dalla pericolosità dei pozzi, incarna anche la paura stessa di ciò che non si vede, di ciò che la nostra mente pensa vi sia in attesa nell’oscurità (in questo caso l’oscurità dei fossi).

U sugghiu

Nel caso del Sugghiu non ci troviamo di fronte a un folletto o a uno strano animale, ma a un mostro nel vero senso del termine: trattasi di un ibrido tra un essere umano, un mammifero e un rettile, dalla lunghezza di circa due metri, con il corpo ricoperto di squame verdastre.

I suoi occhi sono feroci come quelli di un cane rabbioso. Questa entità leggendaria è stata avvistata anche di recente in varie zone della Sicilia, inclusi boschi, paludi e località costiere. Fin dai primi anni dell’800 ne sono state rinvenute delle presunte tracce sulla costa tirrenica, nell’agrigentino e nel ragusano. Il suo aspetto ributtante lo ha reso protagonista di insulti scherzosi e modi di dire.

Il suo verso non è meno inquietante e ricorda sia il grugnito di un maiale che il raglio di un asino. Questo sinistro richiamo gli servirebbe ad attirare gli altri animali, che vengono poi divorati con ferocia. Lo stomaco del Sugghiu è infatti molto resistente e gli consente di digerire perfino le pietre. Nonostante i frequenti incontri con l’uomo, in pochi hanno provato ad affrontare questa sorta di Chupacabra del meridione.

Pare che un cacciatore gli abbia esploso addosso l’intero caricatore del suo fucile, senza procurargli alcun danno visibile. Possiamo quindi dedurre che le scaglie della sua pelle siano durissime. Molti contadini attribuiscono al Sugghiu i furti di ortaggi e dei capi di bestiame.

Marco Fragale
(Università di Palermo)

Bibliografia:

BERTA MATTEO, SIVIERI ALESSANDRO, SICLARI GIOVANNI, La tradizione sicula con le sue creature mitologiche e mostri paurosi, in monstermovieitalia.com, 2020

BUTTITTA ANTONINO (2011), Macingu, numen, mana, in Gruppo di ricerca dell’Atlante Linguistico della Sicilia (a cura del) (2011), Per i linguisti del nuovo millennio. Scritti in onore di Giovanni Ruffino, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani, pp. 248-257.

GUGLIELMINO DEBORA, Lo strano mito del “sugghiu”: anche la Sicilia ha il suo mostro di Loch Ness in catania.liveuniversity.it, 25 settembre 2020

SOTTILE ROBERTO, GENCHI MASSIMO (2011), Lessico della cultura dialettale delle Madonie. 2. Voci di saggio, Palermo, Centro di studi filologici e linguistici siciliani.

SOTTILE ROBERTO (2014), I nomi dei venti in Sicilia tra toponomastica, geomorfologia e “mondo magico”. Possibili itinerari di ricerca – In Studi linguistici in onore di Lorenzo Massobrio (pagg. 957-970).