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Gratteri da Crater, Coppa, Graal: un racconto popolare occultato da secoli

Gratteri da Crater, Coppa, Graal: un racconto popolare occultato da secoli

La leggenda del Graal ha fin dagli inizi dell’era cristiana, affascinato, emozionato e coinvolto in varia maniera fedeli, mistici, condottieri, avventurieri o semplici curiosi. Dal punto di vista storico, grande importanza hanno anche da una parte gli aspetti legati alla devozione popolare e al culto delle sante reliquie e dall’altra i temi connessi ai saperi esoterici e agli orientamenti mistici che in tempi recenti sono sconfinati fino a contaminarsi con il fenomeno dell’occultismo e delle società segrete.

Di certo quello del Graal è uno degli archetipi più profondi e vitali dell’immaginario medievale. La preziosa reliquia è stata ricercata in varie parti del mondo alimentando tante supposizioni e leggende che si perdono nel lontano Medioevo (CERINOTTI ANGELA, op. cit., p.8).

A tal proposito, esiste un borgo medievale siciliano, dove la fantasia popolare legata a tesori nascosti e ricercati in passato con tanto accanimento da insoliti forestieri nei pressi di una abbazia di epoca normanna, avrebbe dato adito di sospettare che molti fra questi avventurieri pensassero di ritrovarvi una reliquia, quella che da sempre è stata considerata la leggenda delle leggende. Stiamo parlando del sacro calice usato da Gesù nell’Ultima Cena e nel quale Giuseppe d’Arimatea avrebbe raccolto poi il sangue delle ferite di Cristo sulla croce. In poche parole, il Sacro Graal.

Ma iniziamo dal principio…

Il racconto della distruzione dell'Abbazia: il vello volante e il tocco dei lupi

Negli ultimi trent’anni, alcuni tra i più insigni studiosi si sono occupati di scrivere la storia dell’abbazia di San Giorgio dal punto di vista storico, archeologico, architettonico e religioso ma mai nessuno, ahimè, ha cercato di preservare le leggende autoctone narrate dalle voci ammalianti dei più vecchi abitanti del villaggio.

Queste sono sempre state citate solo superficialmente, poiché additate in maniera spregiativa quali mere fantasticherie di rozzi contadini, non degne certo di essere menzionate nelle pagine più rispettabili della storia locale.

Per tale motivazione, molte di tali narrazioni, interessanti sia dal punto di vista sociolinguistico sia demoetnoantropologico, si sono perse per sempre con la morte degli ultimi abitanti che ancora le tramandavano oralmente. Ad ogni modo, malgrado molte siano solo dicerie frutto della fantasia dei nativi, quella dell’abbazia di San Giorgio è una storia affascinante anche perché da sempre collegata alla suggestione popolare alimentata nei secoli dalla povera gente che, in periodi difficoltosi, trovava spesse volte una ragione per andare avanti, sognando di ritrovare un tesoro.

In realtà, lungi da qualsiasi pregiudizio, bisognerebbe considerare che un luogo appartiene prima di tutto a chi lo ha vissuto, a quella comunità agropastorale che ha lasciato delle tracce antropologicamente significative che riemergono ad esempio nel territorio, dalla toponomastica popolare, dai nomi più suggestivi delle contrade di Gratteri che sembrerebbero rinviare alle più fantasiose leggende:

Gatti Maimoni (Gatti Mammoni, contrata attestata nell’anno1404 nel territorio del barone di Gratteri, Archivio Belmonte, V. 81), Maàro (Mago, Feudo Prato), Rocca Dinaru (Rocca del Denaro, Feudo Malagirati), Rocca Muònuco (Rocca del Monaco, Feudo San Giorgio), Vaddi di l’uoru (Valle dell’oro, Feudo San Giorgio), Vàusu Dimòniu (Vetta del Demonio, Feudo Purace), Vucca d’Infiernu (Bocca dell’Inferno, Feudo delle Terre Comuni), e via di seguito.

Per tal ragione, il vissuto popolare di luoghi ed eventi potrebbe contribuire secondo altra prospettiva, ad aggiungere un tassello mancante e significativo, alla storia millenaria di Gratteri e del cenobio di San Giorgio. Molto spesso, infatti, siamo in presenza di retaggi culturali antichissimi che, stratificati nel tempo e rielaborati dagli indigeni, hanno generato degli affascinanti racconti, molti dei quali legati, in modo particolare, ai monaci del cenobio.

Questi ultimi, secondo le credenze popolari, praticavano singolari incantesimi attraverso antiche conoscenze alchemiche al fine di ammaliare le giovani spose del villaggio, tramutando spiriti di donne in rospi, “buffe” (buffonidi), con testi medievali di bestiari. Così, per difendersi da tale maleficio, le mogli del villaggio allevavano un gatto, detto “mammone”, e conoscevano delle particolari formule apotropaiche tramandate ancora oggi dalle nonne: “Tri stizzi di sangu e Gesù in agonia, tri fila di capiddi di Maria, ncatinati e liati a cu vo mali a mia”.

Questa giaculatoria era seguita dal corrispettivo sciogli-incantesimo: “Tri stizzi di sangu e Gesù in agonia, tri fila di capiddi di Maria, scatinati e sdilliati a cu vo mali a mia” (Lazzara Antonina, classe 1924, intervista 2007). E gli stessi abitanti intervistati narravano anche di un tesoro nascosto da quegli eremiti, prima di abbandonare l’abbazia di fretta, in una gelida notte d’inverno, scacciati dagli stessi villani che lavarono col sangue l’onta di donne disonorate, attraversando il bosco con fiaccole di ampelodesma e tamburi per allontanarne i lupi. È questa una delle leggende note in paese sulla distruzione del cenobio.

E ne comparve una insolita profezia tramandata fino ad oggi: tre persone dovranno sognare il luogo del tesoro e mangiare una intera focaccia sul posto senza farne cadere le briciole. E i vecchi alimentano storie di sovrumane presenze in quel bosco incantato e di quando alcuni scavando ne rimasero paralizzati, ciunchi – come per uno scudo di Medusa – trovando solo gusci di lumache e ceneri di metallo come fusi da una forgia.

Furono tanti nei secoli che cercarono quelle ricchezze scavando nella notte in quel terreno venduto a contadini. Tombe violate da curiosi tombaroli che sparivano all’alba alla ricerca di potenti reliquie (Lanza Giacomo, classe 1909, intervista 1995; Cirincione Maria Antonina, classe 1913, intervista 2007). Dagli etnotesti raccolti, si arriva finanche ad asserire che lo stesso Adolf Hitler, appassionato di esoterismo, fosse a conoscenza di tale leggenda tanto da inviare dei soldati nazisti a scavare presso il sito del monastero di San Giorgio (Cirincione Fedele, classe 1911, intervista 1995; Sausa Vincenzo, classe 1928, intervista 2020).

Sulla veridicità di tali episodi non ci è dato sapere, tuttavia, gli ultimi scavi archeologici confermerebbero l’esistenza di tombe profanate durante reiterati tentativi di scavo che hanno in parte distrutto quello che rimaneva della originaria pavimentazione della chiesa. In effetti, negli anni, molti si son chiesti il perché di così tanto accanimento nei confronti di un monastero, ornato da figure mostruose, completamente raso al suolo e di una basilica normanna di cui rimangono oggi solamente le mura perimetrali.

Poco probabile che l’unica causa sia da attribuire ad una frana, come si è cercato di presumere. Altri arrivano perfino a collegare tale avvenimento con la storia della distruzione del castello, l’antico torrione che verso gli inizi del sec. XIX, venne completamente smantellato dagli stessi abitanti del borgo, persuasi dal fanatismo religioso a devastare un rappresentativo simbolo di miscredenza.

Sono molti i retroscena e le versioni che, fino a qualche tempo fa, venivano ancora narrati sotto forma di cunto ai più piccoli. Di certo, si tratta di una storia originale ed enfatizzata, che non avrebbe nulla da invidiare alle pagine più affascinanti di un celebre romanzo medievale come Il Nome della Rosa.

Ma quali potrebbero essere le congetture che avrebbero indotto alcuni ricercatori di tesori a pensare che la sacra reliquia fosse stata occultata proprio presso il borgo medievale di Gratteri? Con l’ausilio delle ultime fonti scritte e orali pervenute, ci addentreremo alla scoperta di tutti quei simbolici indizi che farebbero di Gratteri un luogo unico nel suo gener.

1. Un calice sospeso al cielo da due mani divine

Uno dei primi indizi che accosterebbero la parola Graal a Gratteri, sarebbe proprio la stessa origine etimologica del toponimo: Gratteri dal greco κρατήρ (cratere, coppa, calice) per indicare probabilmente la geomorfologia del territorio, “una conca delimitata da occidente a settentrione dalle rupi di S. Vito e S. Emiliano che sono a picco sulle contrade Difesa, Mancipa, Marcatello e Carbone, e si ergono come contrafforti del centro abitato, chiudendo in un’angusta e profonda gola, “ucca d’infiernu” (bocca d’inferno) “il torrente Piletto” (Di Francesca Pina, op. cit., p.11).

Tuttavia, l’origine del toponimo sarebbe anche da ricollegare al cratere lapideo esistente in una grotta sovrastante il centro abitato – la Grotta Grattara – dal perenne stillicidio dell’acqua: “Gratteris antiquum oppidum a Cratere ob perennem stillantem aquam celebri dictum, Berillo lapide nobile”, (PIRRI ROCCO, op. cit., p. 839).

Vito Maria Amico parla di “grotte che diffondono limpidissimi gorghi nel suo territorio ed anche crateri dai quali scaturiscono delle acque sommamente purgative, dette volgarmente del Berillo” (AMICO VITO MARIA, op. cit. p. 544). Dall’altra parte, il termine graal, scritto talora anche gral, che in francese antico designa una coppa o un piatto, deriverebbe a sua volta dal latino medievale gradalis, col medesimo significato, o dal greco κρατήρ (kratḗr «vaso»).

2. L’ipotesi della prima fondazione cistercense del Regno di Sicilia

La leggenda del Sacro Graal è da sempre stata accostata ai Cavalieri Templari che traggono ispirazione dall’ordine dei monaci Cistercensi e alla loro figura più rappresentativa, Bernardo di Chiaravalle. L’origine dell’ordine monastico militare dei Templari risale agli anni 1118-1120, successivamente alla prima crociata (1096), quando la maggior parte dei cavalieri era tornata in Europa e le esigue milizie cristiane rimaste erano arroccate nei pochi centri abitati (Vedasi DEMURGER ALAIN, op. cit.).

Le strade della Terrasanta erano quindi infestate da predoni e Ugo di Payns, originario dell’omonima cittadina francese della Champagne, insieme al suo compagno d’armi Goffredo di Saint-Omer e ad altri cavalieri, fondarono il nucleo originario dei Templari, dandosi il compito di assicurare l’incolumità dei numerosi pellegrini europei che visitavano Gerusalemme dopo la sua conquista.

L’ordine venne ufficializzato, il 29 marzo 1139, dalla bolla Omne Datum Optimum di Innocenzo II che sancì ufficialmente il loro ruolo di difensori della cristianità e li sottrasse all’autorità del patriarca di Gerusalemme, sede della casa madre e dei vescovi, ponendoli sotto la diretta autorità del pontefice (Vedasi CARDINI FRANCO, op. cit.).

In quel periodo la figura di Bernardo di Chiaravalle costituì l’anello di congiunzione tra i monaci Cistercensi ed i Templari, sostenendo e facendo riconoscere da tutti come legittimo successore di Pietro, papa Innocenzo, al quale era stato contrapposto Anacleto, appoggiato invece da Ruggero II d’Altavilla.

Il 22 di luglio dello stesso anno, il pontefice – dopo essere caduto prigioniero in un agguato e condotto nel castello di Galluccio – riconobbe ufficialmente Ruggero come re di Sicilia, duca di Puglia e Calabria (Vedasi CARDINI FRANCO, MONTESANO MARINA, op. cit.). E fu proprio in quegli anni – in uno scenario di pace da ricostruire tra le due massime autorità – che trova collocazione la fondazione del monastero di San Giorgio in Gratteri, intorno al 1140, per opera dello stesso duca Ruggero (figlio di Ruggero II), come si evince da un diploma di Tancredi del 1191 (Rollus Rubeus op. cit.).

Altri particolari interessanti vengono fuori anche da un altro documento significativo, il diploma di Lucio III del 1182 che permette di stabilire come in quella data si erano già insediati nel sito dei canonici dell’ordine francese dei Premostratensi, che in Sicilia ebbero la loro unica dimora (IBIDEM).

Tuttavia, considerate le caratteristiche strutturali dell’edificio, alcuni studiosi, come lo stesso Backmund, canonico premostratense (BACKMUND NORBERT, op. cit., pp. 374-396) arrivano ad ipotizzare una originaria fondazione cistercense, che precederebbe, per un breve periodo, la presenza dell’ordine dei norbertini (CAPITUMMINO FRANCESCO, op. cit., pp. 32-51).

Tale supposizione potrebbe essere suffragata anche da un simbolico riconoscimento che Innocenzo II avrebbe potuto conferire a Bernardo di Chiaravalle e ai suoi monaci, per essere sempre stati al suo fianco nella lotta contro Anacleto. Ecco perché si supporrebbe quella di Gratteri come la prima fondazione cistercense nel regno di Sicilia.

Se così fosse, essa potrebbe rientrare nel raggio d’interesse di tutti quegli appassionati medievalisti che, sulle orme dei Templari, hanno scandagliato tante di quelle abbazie cistercensi alla ricerca della preziosa reliquia. In origine, infatti, proprio i Cistercensi furono considerati gli architetti e i costruttori dei Templari.

3. Simboli ancora indecifrati rimasti incisi nell’architettura originaria

Secondo le leggende medievali, i Cavalieri Templari avrebbero lasciato tracce della loro presenza con simboli magici dell’antico sapere alchemico e immagini allegoriche ricche di segreti iniziatici rimaste incise tra le mura dei templi, nelle icone e nella stessa architettura dei Cistercensi.

A tal proposito, come spiega la studiosa della materia graelica, Angela Cerinotti, “i Templari come anche i monaci dell’Ordine monastico cistercense a cui San Bernardo era appartenuto erano grandi costruttori che possedevano varie conoscenze nell’ambito della geometria sacra, dell’alchimia, dell’astrologia, insomma nell’ambito di quella che gli esoteristi definiscono complessivamente Tradizione, protette dall’assoluta segretezza di cui sarebbe stata garanzia il vincolo associativo” (CERINOTTI ANGELA, op. cit., pp. 94-95).

Per quanto riguarda il caso di Gratteri, un significativo reperto è stato rinvenuto negli anni ’80 da alcuni giovani del posto, fuori dalla chiesa in direzione Est: “Il manufatto presenta le caratteristiche scultoree del periodo fondativo. Scolpito a rilievo, un drago (o una salamandra) avvolge con la coda le colonne e porta tra le zampe un disco diviso in otto parti da una croce e una X sovrapposte. Allegoria tutta da decifrare legata probabilmente al Santo titolare” (AGOSTARO FRANCESCO, op. cit., p. 39).

In realtà, potrebbe trattarsi di una croce ottagona, utilizzata sin dalle prime crociate, come quelle annoverate tra i gruppi dei simboli templari: la “Croce delle Otto Beatitudini”. Essa, presenta otto punte, o cuspidi, comune anche all’ordine di San Lazzaro e a quello degli Ospitalieri, rimasta oggi come emblema ufficiale dei Cavalieri di Malta. Ad ogni modo, sulle mura interne dell’Abbazia sono stati rinvenuti anche degli schizzi di simboli geometrici tipici dell’ornamentazione bizantina.

Dalla relazione tecnica in occasione di alcuni interventi conservativi effettuali nel 1991, si legge: “si evidenziano disegni, più o meno elaborati, inquadrabili nel repertorio cosmatesco e ricorrenti in numerose chiese medievali in Italia e segnatamente in Sicilia e nella coeva Basilica Cattedrale di Cefalù. Tuttavia, l‘esistenza di alcune preziose incisioni sullo stucco che ricopriva le pareti, testimonia la presenza in loco di abili disegnatori di cui sono rimaste le tracce che hanno fatto pensare a studi preliminari per la decorazione del pavimento e di alcuni plutei.

Si tratta di parti di alcuni disegni ornamentali geometrici, raggruppati all‘angolo sud ovest dell‘aula basilicale, sulla parete sud. Essi facevano probabilmente parte di un organico progetto decorativo e sono un‘importante testimonianza dell‘uso del disegno nella progettazione medievale” (CULOTTA PASQUALE e LEONE GIUSEPPE, op. cit.).

Tra gli elementi recuperati “un bel capitello con decorazione vegetale, a grandi foglie rese naturalisticamente, uno con due rosette, uno con figure di quadrupedi fantastici ed una base di colonnina binata cui si attorciglia un serpente” (IBIDEM).

Gli ultimi scavi del 2020 hanno riportato alla luce alcuni importanti reperti del monastero: capitelli ornati da figure fantastiche quali draghi e in particolare avvoltoi, rapaci che, nel Medioevo, venivano accostati a simboli divinatori di antichi alchimisti. In realtà, proprio questi ultimi ritrovamenti, testimonierebbero importanti influenze dello stile gotico nordico, molto più marcate rispetto a quelle presenti nella coeva cattedrale di Cefalù.

4. San Giorgio e San Michele, i Santi Protettori dei Templari

Secondo la tradizione, il cenobio di Gratteri venne dedicato a San Giorgio in ricordo della battaglia di Cerami (1063) durante la campagna di conquista dell’isola, in mano agli arabi, da parte dei normanni. A seguito di questa battaglia, i Normanni incrementarono in Sicilia il culto dei due Santi che schiacciano il drago, simbolo del demonio: San Giorgio e San Michele Arcangelo.

La leggenda racconta che il Conte Ruggero, prima dell’inizio della battaglia, fece recitare dei versi del vangelo ai suoi soldati. Durante la prima parte della battaglia i saraceni ebbero la meglio, il Conte, vistosi in difficoltà, invocò l’aiuto dei Santi Michele e Giorgio, i quali, all’improvviso, apparvero sul campo di battaglia.

I soldati, alla vista dei Santi, furono presi dall’entusiasmo e con vigore contrattaccarono, cogliendo una schiacciante vittoria (SCELSI ISIDORO, op. cit., p. 65). Nel Medioevo, la grande diffusione del loro culto in Occidente e in tutto l’Oriente bizantino, si ebbe in conseguenza delle crociate cristiane in Terrasanta, e più precisamente ai tempi della battaglia di Antiochia. Accadde che, durante la battaglia, i cavalieri crociati ribaltarono l’esito dello scontro consentendo la presa della città, ritenuta inespugnabile.

Secondo la leggenda, San Giorgio si sarebbe mostrato ai combattenti cristiani in una miracolosa apparizione, accompagnato da splendide e sfolgoranti creature celesti con numerose bandiere in cui campeggiavano croci rosse in campo bianco. Per tal ragioni il martire divenne uno dei due Santi protettori dei Templari; dell’Ordine Teutonico e, più in generale, di tutti i cavalieri cristiani (Già in ESBT).

L’altro patrono dei Templari è considerato San Michele Arcangelo. Il nome Michele deriva dall’espressione Mi-ka-El che significa “chi è come Dio?” Il comandante delle milizie celesti, dapprima accanto a Lucifero (fratello degli Arcangeli), nella rappresentazione della coppia angelica, rimanendo invece fedele a Dio, si separa da Satana e dagli angeli ribelli e apostati (un terzo del totale), che precipitano negli Inferi.

San Michele Arcangelo l’espressione del guaritore, accompagnatore di anime, nelle rappresentazioni iconografiche è rappresentato in forma di guerriero e tiene Satana sotto i suoi piedi, minacciato dalla spada-croce che rappresenta la potente liberazione, quell’essenza affilatissima e unica in grado di separare il bene dal male (IBIDEM). Il culto di San Michele Arcangelo in Gratteri pare debba essere molto antico visto che il Santo risulta essere già titolare della Vecchia Matrice ubicata nell’area del castello.

Oggi il culto sembrerebbe quasi estinto, ma in passato, come spiegano le più anziane, una piccola immagine del Santo veniva ancora recata in processione la notte del Venerdì Santo, A Sulità, per il fatto di tenere in mano la pisside o calice della passione, in quanto l’angelo apparve a consolare Gesù nell’orto di Getsemani. Alcune pie donne ricordano ancora una litania:

San Micheli Arcancilu oh risplendenti, Vui siti lu veru Ancilu di Diu, sutta lu pedi tiniti un serpenti, chidda è la spata chi Vi detti Diu, tiniti li volanzi giustamenti, pisati st’arma e purtatila a Diu” (Lazzara Antonina, classe 1921, intervista 2007).

Di recente, grazie allo spoglio dei Riveli dell’Archivio di Stato di Palermo, si è venuti a conoscenza di una delle più antiche venerabili confraternite di Gratteri, dedicata proprio all’Arcangelo Michele (ASP Riveli Real Patrimonio, V. 1170, anno 1616).

Sarebbe una pura coincidenza che questi due Santi siano i titolari della Vecchia Matrice (San Michele) e del cenobio (San Giorgio) di Gratteri o ci sarebbe un possibile filo conduttore che li lega?

5. L’eredità spirituale degli Ospitalieri di San Giovanni chiamati in seguito Cavalieri di Malta

Nel 1300 la chiesa di San Giorgio e il suo feudo passarono ai Cavalieri Ospedalieri di San Giovanni, un ordine religioso militare cavalleresco, nato in funzione delle crociate che, assieme ai Cavalieri Templari, erano considerati ereditari di antichi tesori provenienti da Gerusalemme.

Quello degli “Ospedalieri” chiamati anche “Giovanniti” era un ordine formato da una minoranza di frates milites che si dedicavano alla difesa dei luoghi santi e da altri confratelli che risiedevano in precettorie, conosciute anche come commende (SALERNO MARIAROSA – TOOMASPOEG KRISTJAN, op. cit., già in AGOSTARO FRANCESCO, op. cit., p. 22).

Queste ultime ebbero una funzione anche economica, quella di produrre reddito in forma di tasse da inviare in Terra Santa per il sostegno delle loro attività. L’Ordine, infatti, aveva come compito principale quello di assistere i “viaggiatori di Dio”, malati o bisognosi. A tal fine era stato fondato un ospedale a Gerusalemme dedicato a San Giovanni Battista e fu per tale motivo che i membri dell’Ordine presero anche il nome di “Gerosolimitani e Ospedalieri” (AGOSTARO FRANCESCO, op. cit., p. 22).

Come si evince da una inchiesta sui beni dei Giovanniti del 1373, la chiesa di San Giorgio in Gratteri risultava in loro possesso, aveva come precettore un laico di nome Pagano, di circa 40 anni e disponeva di un reddito annuo di 2 once d’oro (SALERNO MARIAROSA – TOOMASPOEG KRISTJAN, op. cit., pp. 271-274).

Ad ogni modo, dopo una serie di vicissitudini che videro coinvolto don Antonio Ventimiglia, barone di Gratteri, che rivendicava per sè il diritto di esercizio di patronato in un periodo di anarchia feudale, la chiesa venne assegnata per un breve periodo agli agostiniani, per poi nel 1414 ritornare in commenda ai Giovanniti assieme a quella di Marsala (FODALE SALVATORE, op. cit. p. 713).

Nel 1511 l’Abbazia di San Giorgio risultava essere sottoposta al diritto di patronato regio (BARBIERI G. L., Beneficia ecclesiastica, a c. d. PERI I., V. I (Vescovati e abazie) ed. Manfredi, Palermo 1952, p. 218). Infine, a partire dal 1628 e fino al 1811 il feudo di San Giorgio fu sempre tenuto in commenda della Sacra Religione Gerosolomitana dei Cavalieri di Malta e Gran Priorato di Messina (AOM 6098, cc. 60 segg.).

Gratteri viene inclusa nella Commenda di San Giovanni Battista di Modica-Randazzo, una delle più importanti e cospicue di Sicilia. Tuttavia, dalla visita nel 1628 del commendatore don Joseph Caravella si evince che già in quell’anno l’Abbazia risultava “ruinata molt’anni or sono” e senza tetto (Magione 404, c. 150).

Ad oggi, non sono state pervenute delle fonti archivistiche che spiegherebbero il motivo della sua distruzione insieme al monastero, avvenuti presumibilmente intorno alla fine del sec. XVI. Ma quale fu la vera eredità che lasciarono gli Ospedalieri di Gerusalemme chiamati in seguito Cavalieri di Malta che detennero il per circa cinque secoli?

In realtà, quella degli Ospitalieri (che per il possesso dell’arcipelago maltese vennero soprannominati Cavalieri di Malta) è una storia avvincente che attraversa secoli, guerre e nazioni; il fascino delle loro imprese è rimasto immutato nel tempo. In origine, fu un ordine ospedaliero benedettino ma, in seguito alla prima Crociata, divenne un ordine religioso cavalleresco cristiano, a cui erano stati affidati le cure e la difesa dei pellegrini, diretti in Terra Santa.

Le loro vesti furono quelle benedettine: tunica e mantello nero con croce bianca ad otto punte, apposta nel petto, in corrispondenza del cuore. Nell’immaginario popolare, la figura dei Cavalieri di Malta, ad esempio, viene ricollegata a quella dei Templari – monaci guerrieri di cui furono considerati gli eredi. Molte sono state le leggende nate intorno a quest’Ordine, a tal punto da essere considerati custodi di un antico sapere.

Indizi ed arcani simboli tramandati da generazioni alimentano l’alone di mistero che li circonda, come la leggenda del Sacro Graal, che alluderebbe al possesso di una conoscenza esoterica o iniziatica, che da un lato viene elargita gratuitamente da Dio.

Ad ogni modo, al di là dell’aspetto leggendario, da alcuni significativi dati che emergono dalla consultazione delle fonti, sembrerebbe ci sia stata una vera e propria eredità che lasciarono gli Ospitalieri di San Giovanni Battista nel piccolo borgo madonita, in particolar modo, alle origini del loro insediamento.

Ad esempio, grazie alla consultazione dei Riveli dell’Archivio di Stato di Palermo, sappiamo che, già nel sec. XVI, esistesse a Gratteri uno hospitali – ovvero un locale adibito ad accogliere poveri e pellegrini – ubicato nei pressi dell’odierna Via Ospedale.

Dal punto di vista spirituale invece, un altro significativo lascito potrebbe essere il culto di San Giovanni Battista, (Santo a cui gli Ospitalieri si ispiravano) oggi a Gratteri quasi completamente scomparso, ma in passato particolarmente nutrito, tanto che il nome personale Giovanni e Giovanna risulterebbe al primo posto tra i nomi di battesimo più utilizzati almeno fino al XVII secolo.

Da un Rivelo che fa il Rev. Sac. D° Giuseppe Tamburello Procuratore della Venerabile Chiesa di S. Leonardo (oggi distrutta), sappiamo che fino al 1748, egli “pagava al R.do Clero di Gratteri per messa cantata, vespere e processione per la festa del Glorioso Santo Giovan Battista il 24 giugno, per solennizzare la festa del Glorioso Santo cioè con consumo di cera, polvere e loghieri d’apparato ed altro per prezzo di 100 unzi” (ASP, Deputazione del Regno, V. 2946, anno 1748).

Infine, un ultimo retaggio da ricondurre agli Ospitalieri, potrebbe essere proprio il culto dell’Apostolo Giacomo il Maggiore (il Santo Protettore dei pellegrini), oggi Patrono della comunità gratterese. A tal proposito, lo studioso jacopeo Giuseppe Arlotta osserva: “il legame tra la Sicilia e Santiago di Campostela iniziò nel XII secolo, come documentato nel Liber Sancti Jacobi, il più antico testo del pellegrinaggio compostelliano. Per la costruzione e la gestione degli hospitali per pellegrini che si recavano in Galizia, giunsero in Sicilia ordini cavallereschi, quali i Templari, i Teutonici e gli Ospitalieri, più noti come Cavalieri di Malta” (ARLOTTA GIUSEPPE, op. cit., 11-15).

6. Un antico sigillo ritrovato dell’Universitas terrae Gratterii

Di recente è stato rinvenuto presso l’Archivio di Stato di Palermo, un antico timbro dell’Universitas terrae Gratterii in un volume del 1625 che potrebbe fornirci un elemento importante che emerge dal passato. Il sigillo rappresenta un’aquila che avvinghia un blasone con in basso proprio una coppa, a rimarcare probabilmente l’origine del toponimo Gratteri, dal greco “cratere, coppa, calice”.

Con il termine Universitatates (dal latino universitas, -tis), definite anche università del Regno (o semplicemente “università“), si designavano generalmente i comuni dell’Italia meridionale, sorti già sotto la dominazione longobarda e successivamente infeudati con le conquiste dei Normanni (SENATORE FRANCESCO, op. cit.).

L’Universitas di Gratteri aveva un ruolo di spicco nel passato, basti pensare che nell’ordinamento politico normanno prima ed aragonese poi, il Barone di Gratteri occupava il IX posto nel Parlamento di Sicilia. Il suo motto era “Prae millibus unus” (Uno in paragone a mille).

Egli, aveva diritto a 25 fanti, i quali gli venivano assegnati direttamente dal re ed essi potevano direttamente militare sotto le sue bandiere. I Ventimiglia di Gratteri avevano inoltre il diritto al “mero et mixto imperio“, ovvero la delegazione dell’esercizio dei poteri di amministrare la giustizia nei loro feudi e la facoltà di nominare il Magistrato (AMICO VITO MARIA, op. cit. già in SCELSI ISIDORO, 1981).

7. Delle reliquie miracolose da proteggere: le spine, la croce e la clamide insanguinata di Gesù

Dal punto di vista religioso Gratteri detiene un tesoro d’inestimabile valore: all’interno della Chiesa Madre in una cappella laterale sono custodite in una sontuosa custodia del 1648 – voluta da Lorenzo Ventimiglia e dalla consorte Maria Filangeri – delle miracolose reliquie giunte da Gerusalemme. Una di questa è particolarmente venerata dalla popolazione gratterese fin dal tardo Medioevo. Stiamo parlando di un reliquario d’argento che custodisce quattro delle spine (di cui una spezzata) che si presume appartenessero alla Corona santa che per ordine di Ponzio Pilato cinse il capo divino di Gesù.

Secondo storici di indubbia fama, come il Fazello, il Pirri, il Passafiume ed altri, esse hanno avuto a Gratteri culto e particolare devozione fin dai tempi della dominazione Normanna (Già in SCELSI ISIDORO, op. cit.). Tuttavia, all’interno della stessa cappella con grada in ferro, oltre alle spine, vengono custodite anche altre preziose reliquie: una scheggia del legno della Croce; un ritaglio della clamide insanguinata di Cristo; un lembo del velo di Maria; un osso del costato di San Giacomo Apostolo, un reliquario di San Giovanni Battista, ed altre già citate in diversi documenti d’archivio del passato (Vedasi ANSELMO SALVATORE, MARGIOTTA ROSALIA, op. cit.).

Ai lati della custodia di marmo erano collocati due angeli (sfortunatamente non pervenutici), uno dei quali recava il blasone di Gratteri, raffigurante una colomba che beve in una fonte, con intorno una scritta in latino: Tuere Nobile Gratterium – “Proteggi la celebre (città fortificata) di Gratteri”. Ma da cosa e perché bisognasse difendere il rinomato castello di Gratteri? Che chi fosse qualcosa di nascosto tra le altre reliquie?

Oltre a questo, vi è un altro mistero che riguarderebbe proprio il come e il quando dette reliquie siano arrivate dalla lontana terra di Galilea nel piccolo borgo sperduto tra i monti delle Madonie. Le notizie che abbiamo sono ora leggendarie ora storiche. Una delle leggende racconta che un angelo, dalle sembianze di cavaliere, durante un periodo difficoltoso, affidò uno scrigno ad un povero agricoltore nei pressi del passo della Scala, dove venne fatta costruire la chiesetta del Crocifisso.

Un forziere arrivato con una nave sbarcata a Roccella con delle sante reliquie dai poteri miracolosi. Quello straniero pronunciò anche un passo da fa incidere sull’altare a perenne memoria: “Gratterium nobile tuere”. Nessuno ne capì il significato che sarebbe stato svelato soltanto in occasione di futura pestilenza. Ma chi era quel misterioso angelo cavaliere di luce? Nella tradizione biblica tale appellativo veniva attribuito all’Arcangelo Michele, vincitore della lotta contro il drago, rappresentante il demonio.

Secondo medievali leggende, San Michele – che rivelò l’Apocalisse a San Giovanni – è depositario del segreto della luce e possiede un forte legame con i Templari, non a caso nella tradizione celtica è custode di un tesoro. L’Arcangelo veniva tradizionalmente collegato al ciclo della letteratura cavalleresca di Re Artù e al mistero del Sacro Graal, tanto che nei secoli, la via dell’Arcangelo fu battuta dai pellegrini, dai Catari e dai Cavalieri Templari, che lasciarono dei significativi indizi del loro passaggio.

Ritornando alle reliquie di Gratteri, alcuni storici del passato asseriscono che esse venivano custodite nella chiesa dedicata a San Michele, denominata oggi Matrice Vecchia per distinguerla dalla Nuova. Dal Passafiume leggiamo:

“La maggior chiesa è consacrata a S. Michele Arcangelo e vi si venerano molte reliquie. Fra queste, in modo particolare, ci si venerano:

  • Una parte del legno della Santa Croce;
  • Tre Spine della Corona del Signore intere e non diminuite, bagnate dal sangue di Nostro Signore;
  • Un pezzettino della sua veste inconsutile;
  • Una parte, e questa si distingue tra le altre reliquie, del manto, macchiato di alcune macchie di sangue, del quale fu rivestito Nostro Signore durante la Passione, quando lo condussero via dalla colonna della flagellazione.

Queste sante reliquie sono tutte quante conservate religiosamente in reliquiari d’argento. Poste, poi, in un reliquiario di cristallo sono anche, per la venerazione dei fedeli, molte reliquie di santi, molte delle quali, in segno di benevolenza del servo di Dio, il vescovo Gonzaga, sono state messe a disposizione, perché ne facesse il pio uso che volesse, dall’illustrissimo don Pietro Ventimiglia, barone di Gratteri e di S. Stefano di Quisquina, quella che si trova nei presi di Bivona (PASSAFIUME BENEDETTO, op. cit., p. 54, trad. MARCHESE ANTONIO.)

Le “Sacre Insignes Reliquiae”, di cui parla il Passafiume, sono quelle già ricordate dal Pirri nella sua breve notitia su Gratteri: “aedes Paroch. S. Michaelis, cuius proventus vix unc. 4 sacelli SS. Sacramenti unc. 8.23 eius societatis unc. 3.21 praecipuis exornatur SS. Reliquiis scilicet Spinis Corona domini, dente molari S. Annae, costula S. Jacobi Apostoli, etc.” (PIRRI ROCCO, op. cit. II, p. 839).

Esse, come è stato sopra detto dallo storico cefaludese, furono donate alla chiesa di S. Michele Arcangelo dal munifico don Pietro Ventimiglia che, dal 1575 agli anni ’90 di quel secolo, fu barone di Gratteri, e che in parte le ricevette dal frate minore fra Francesco Gonzaga, vescovo di Cefalù dal 1587 al 1595 in benevolentiae signum.

Una delle benemerenze di don Pietro Ventimiglia (che così viene ricordato nella lapide posta in S. Maria di Gesù sul suo sepolcro e su quello della famiglia: AC PETRI II FRATRIS SUI COLLESANI COMITIS, AC / CRATER, AC S. STEPH. DOMINI UXORI…) è legata, senza dubbio, al munifico dono fatto alla chiesa di S. Michele Arcangelo, delle Spine che egli, assieme ad altre reliquie, ricevette in dono dal vescovo di Cefalù.

Tuttavia, vuole la tradizione che le Spine che si venerano a Gratteri fossero state portate in occidente dal conte di Sicilia, Ruggero d’Altavilla, che con il padre Tancredi prese parte alla prima crociata (1096-99) e che fossero state donate alla sua chiesa prediletta, che era appunto la cattedrale di Cefalù.

Così afferma B. Carandino, sacerdote e storico vissuto a Cefalù intorno al 1570, una generazione prima che nascesse il Passafiume, e che ebbe modo, quindi, di vedere tali sante reliquie. Egli anzi aggiunge che “di esse tre furono in seguito derubate e trasportate nella terra di Gratteri dove se ne aggiunse una quarta, non intera, regalata nell’anno 1580 al barone di Gratteri, don Pietro Ventimiglia, dall’allora vescovo di Cefalù, Francesco Gonzaga” (CARANDINO BARTOLOMEO, op. cit.).

Come si evince da un manoscritto privato infatti, le stesse giunsero a Gratteri verso la fine del XIV secolo, tramite il furto operato dal conte Antonio Ventimiglia, come gesto di vendetta per non aver avuto dall’allora vescovo di Cefalù, Nicolao De Burellis, la concessione del feudo di Roccella di proprietà ecclesiale, territorio che, insieme alla torre, sarebbe stato utile al Conte per la sua posizione strategica proprio in riva al mare. Il Ventimiglia, allora, per vendicarsi di tale rifiuto prese le Sacre Spine facendo razzia nella cattedrale di Cefalù e, portato con forza il Vescovo a Gratteri, lo fece morire nel suo castello. Ciò avvenne nell’anno 1384” (BIANCA ALESSANDRO, Manoscritto privato della famiglia Serio di Cefalù, già in SCELSI ISIDORO, p.100).

Le reliquie di Gerusalemme
Le reliquie di Gerusalemme

8. Un mistico del Cinquecento a cui era apparso il volto di Gesù durante la consacrazione

Si narra di un segreto a cui era venuto a conoscenza nel 1500 un umile frate di Gratteri, Padre Sebastiano Maio (1504-1580), a cui era apparso tante volte il volto di Gesù durante la celebrazione dell’eucarestia, tanto che lo aveva rappresentato in una tela. Fra Sebastiano, fu un uomo di grandi virtù evangeliche, mistico, nonché fondatore del celebre santuario di Gibilmanna.

Le storie della sua biografia narrano che, ancora giovinetto, abbracciò la vita monastica dei Minori Conventuali e, all’età di 12 anni, entrò nel convento di S. Francesco, annesso alla chiesa di Santa Maria di Gesù in Gratteri.
Della sua vita austera ci parla il Passafiume, suo contemporaneo e confratello. Sostenendo che “egli era dotato di spirito profetico e di una grande visione del Cielo…dormiva in una nuda cella su un letto di legno rustico, munito di saccone di paglia…quasi ogni sera si flagellava sulle nude carni con i “bruzzolini” (PASSAFIUME BENEDETTO, op. cit., già in SCELSI ISIDORO, p. 114).

Si racconta infatti che l’umile frate, in età avanzata, ebbe delle visioni mistiche della Madonna e del Cristo Crocifisso a cui era particolarmente devoto. Nel 1576, in un venerdì di Quaresima, nell’originaria chiesetta di Gibilmanna dedicata a San Michele Arcangelo, gli apparve l’Ecce Homo durante l’atto della consacrazione eucaristica.

Gesù Cristo gli si presentava nell’Ostia viva, coronato di spine, con una pesante catena al collo ed una canna in mano, e lo invitava a dipingerlo così come lo vedeva rappresentato. Padre Sebastiano rimediando i colori dalle piante pestate presenti nel territorio dipinse un quadro, ancora oggi esposto sul lato sinistro dell’altare maggiore del Santuario di Gibilmanna. Ai piedi della tela si leggono i seguenti versi da lui stesso dettati:

Di duri spini il capo coronato / riguarda il tuo Signore, spirito diletto / di sangue è lo cerebro emacillato / del quale bagna lo viso e lo petto / da mille punti il capo è perforato / e la catena al collo a suo dispetto / la canna per insegna come stulto / gli occhi piangenti di vesti porporato / Nel luogo di Gibilmanna fra Sebastiano da Gratteri Capochino indigno servo 1576 10 di Marzo” (già in SCELSI ISIDORO, op. cit., pp.113-116).

Fra Sebastiano Majo: mistico di Gratteri

9. Un altare murato di Santa Maria Maddalena all’interno della Vecchia Matrice

Di recente, dalla consultazione dei Riveli che si conservano all’Archivio di Stato di Palermo, si è venuti a conoscenza di un antico culto a Gratteri verso San Lazzaro e Santa Maria Maddalena come si evince dalla presenza di un altare dedicato a detti Santi  all’interno della Vecchia Matrice almeno fino agli inizi del sec. XVIII.

Detto culto, oggi è del tutto scomparso, ma sono diversi i documenti che ne parlano, come ad esempio un testamento del Reverendo don Pietro Scelsi che predispone al Reverendo Clero della Terra di Gratteri di “celebrare il 22 del mese di luglio giorno di Sancta Maria Maddalena, una messa cantata di quattro tarì in onore di detta Santa nell’altare di San Lazzaro Maddalena e Marta dentro la Venerabile Madre Chiesa” (ASP Corporazioni religiose soppresse di Cefalù – Clero di Gratteri – V. 105, anno 1669).

Oggi, di quell’altare non si ritrovano tracce, probabilmente andato distrutto per motivazioni ancora poco note, poiché, come raccontano i più anziani fedeli, in passato, prima delle ultime ristrutturazioni interne della Vecchia Matrice, si intravedeva ancora una balaustra in pietra ed un altare murato sulla parete destra della chiesa.

Ad ogni modo, oggi viene custodita ancora una tela di Santa Maria Maddalena penitente (olio su tela, cm 116 x 91), di un autore ignoto del sec. XVII, proveniente dalla Vecchia Matrice, che suscita un alone di mistero, poiché sembrerebbe una vera e propria imitazione di quella ritrovata recentemente e attribuita dalla critica al Caravaggio.

Questo racconto prende ispirazione dalla ricerca storica e da leggende locali raccolte negli anni tra i più anziani abitanti di Gratteri rielaborate dalla creatività dell’Autore.

Questo testo è proprietà intellettuale dell’autore, la sua riproposizione, anche parziale implica la citazione della fonte.

Marco Fragale
(Università di Palermo)
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