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La battaglia di Cerami all’origine del blasone dei Ventimiglia

La battaglia di Cerami all’origine del blasone dei Ventimiglia

“…E si giunge ad una occulta Abbazia,
solitaria nel bosco,
per adempiere una sacra promessa
che il Conte Ruggero fece a San Giorgio,
apparso in battaglia a Cerami in groppa ad un bianco destriero,
gloria di cento Normanni contro cinquantamila Saraceni.
Scriveva un cronista
“Prima della battaglia, Ruggero,
insieme al nipote Serlone,
fecero cantare ai combattenti il Vangelo
invocando l’aiuto dei suoi santi protettori:
San Michele e San Giorgio.
così li sbaragliarono, in campo aperto,
con l’aiuto d’un misterioso cavaliere
dalle armi candide,armato da una lancia e una croce vermiglia”.

(Da “Gratteri da Crater, coppa Graal: grezzo diamante nella concava roccia “ di Marco Fragale)

Solitaria in un bosco incantato abitato da lupi in uno scenario altamente suggestivo e in un punto strategico d’intersezione tra due strade romane ai tempi assai battute da viandanti e pellegrini, venne fatto edificare, intorno all’anno 1140, il Priorato di Gratteri per volere del Duca Ruggero, figlio primogenito del Re Ruggero d’Altavilla che lo volle dedicare a San Giorgio, martire cristiano, poichè, secondo la tradizione normanna, era apparso in battaglia a Cerami insieme all’Arcangelo Michele dopo essere stati invocati dal Gran Conte.

Quella di Cerami (1063) – in provincia di Enna – può essere considerata una leggendaria battaglia paragonabile per la sua epicità a quella delle Termopili dove tuttavia, non vengono esaltate l’eroicità e la prodezza umane ma il soccorso divino che portò, secondo la tradizione, soli centotrentasei uomini normanni a trionfare contro cinquanta mila soldati saraceni.

In realtà, dal punto di vista storico, quella battaglia vinta dallo schieramento normanno, segnò indubbiamente l’inizio del loro dominio sulla Sicilia. Da quel momento in poi, Re Ruggero riuscì a riconquistare l’intera isola liberandola dall’oppressione saracena e i Normanni fecero edificare chiese e monasteri in onore di San Giorgio e San Michele.

Delle gesta di questa eroica battaglia nostrana ne parlano le cronache dell’XI secolo dello storico di corte Goffredo Malaterra (De rebus gestis Rogerii Calabriae et Siciliae comitis et Roberti Guiscardi ducis fratris eius). Il monaco benedettino racconta lo scontro che avvenne tra i normanni di Ruggero e un’alleanza musulmana di truppe siciliane e ziridi. Secondo tale racconto, sin dalla mattina, in cui si preannunciava lo scontro, Ruggero, insieme al nipote Serlone, fecero cantare ai combattenti dei versetti del Vangelo (ancor oggi quella contrada si chiama Evangelio).

In un primo momento la battaglia volse a favore dei Saraceni; così, vistosi alle strette, il Conte invocò l’aiuto dei suoi santi protettori: San Michele e San Giorgio, i quali, all’improvviso, apparvero sul campo di battaglia. I soldati, alla vista dei due Santi, furono presi da tale entusiasmo che contrattaccarono con vigore, cogliendo una schiacciante vittoria.

Scrive il Malaterra «li sbaragliarono [i saraceni] e ne uccisero ventimila e altrettanti ne fecero prigionieri con l’aiuto d’un misterioso cavaliere dalle armi candide, il bianco destriero, armato da una lancia dal pennoncello bianco e la croce vermiglia» (MALATERRA GOFFREDO, op. cit.). La loro visione e i loro incoraggiamenti riempirono i normanni di coraggio e di una volontà indomita.

In tal modo, i saraceni si trovarono davanti dei nemici rinnovati e pressoché imbattibili. Dopo una giornata di lotta rimasero cadaveri ovunque, ma i cristiani erano i vincitori (il luogo del campo di battaglia prese il nome di Milione, per i tanti morti). A Cerami, a memoria della vittoria normanna e dei Santi protettori, furono costruite due chiese in onore di San Michele e di San Giorgio.

Al di là della credibilità del racconto del Malaterra, ispiratosi probabilmente alla battaglia di Ponte Milvio del 312, racconto che deve la sua fortuna alla sconfitta del grande esercito dei Saraceni a opera di un esiguo numero di Normanni, è importante notare come la scelta del monaco normanno di richiamarsi al santo vincitore del drago, quale patrono, si inserisce in una probabile tradizione nordica ormai consolidata e, dunque, ancora attuale fra le fila dei nordici militi.

Dopo la vittoria di Cerami, i Normanni edificarono diverse chiese dedicandole a San Giorgio e San Michele. Quella di Gratteri ne è un esempio, fondata dal duca Ruggero, duca di Puglia e figlio maggiore di Ruggero II intorno all’anno 1140 e affidati dal Papa Innocenzo II ai frati Premostratensi – agostiniani riformati provenienti dalla Normandia o Picardia – che diedero una chiara impronta architettonica con caratteri peculiari del romanico francese.

Ad ogni modo, pochi sanno che alla battaglia di Cerami è legato anche il nome della storica famiglia madonita dei Ventimiglia. Per secoli, infatti, si è ritenuto da storici e da genealogisti che i Ventimiglia discendessero dagli Altavilla, in particolare da Riccardo Serlone, figlio di Tancredi e quindi fratello del conte Ruggero.

Una tale ascendenza faceva molto comodo ai Ventimiglia, che così potevano vantarsi di essere la più antica famiglia aristocratica del Regno di Sicilia, diversamente dai tantissimi feudatari di più recente e recentissima nobilitazione, che però nel corso dell’età moderna raggiungevano posizioni di vertice da cui essi erano costretti a rimanere ormai lontano (CANCILA ORAZIO, op. cit.).

Al marchese Simone I Ventimiglia che attorno al 1528, interrogato sull’origine della sua famiglia, esprimeva il convincimento che essa provenisse da Genova, Giuseppe Sancetta, “gentil uomo palermitano”, non aveva dubbi: i Ventimiglia discendevano da Riccardo Serlone, che a capo di mille cavalieri cristiani aveva sconfitto nel 1063 a Cerami ben ventimila mori, donde il cognome Ventimilia, il cui scudo acquisì i colori (oro e rosso) della bandiera attaccata alla lancia che un angelo gli aveva donato prima della battaglia: apparse (miraculose) un angilo, lo quali in presentia di tutti milli donao a dicto Riccardo una lanza, in la quali era una banderola de cendaro, dueparte in ialno [= giallo] et una carmexina, a cui parlando disse: servo di Dio, tu si exaudito, va con firma speranza chi la victoria hogi serrà la tua, senza perdere alcuno de toi cavalere (CANCILA ORAZIO, op. cit. , pp. 14-15).

Oggi di quel monumento normanno – coevo alla cattedrale di Cefalù – rimane solo un portale romanico e delle vestigia millenarie di una abbazia per troppo tempo dimenticata. Tuttavia, i recenti scavi archeologici hanno recuperato anche parte dell’antico monastero annesso alla chiesa, ritrovando significativi capitelli di mostri pietrificati e volti saraceni di straordinaria fattura che fanno quella di Gratteri, una pietra miliare dell’itinerario arabo-normanno in Sicilia.

Marco Fragale
(Università di Palermo)

Bibliografia
AGOSTARO FRANCESCO, San Giorgio in Gratteri. La storia intrigante di un monumento normanno, S.Marsala, Cefalù, 2019

CANCILA ORAZIO, I Ventimiglia di Geraci (1258-1619) , Associazione Mediterranea, Palermo, 2016

MALATERRA GAUFREDO, De rebus gestis Rogerii Calabriae et Siciliae comitis et Roberti Guiscardi ducis fratris eius, a cura di PONTIERI ERNESTO, in Rerum Italicarum scriptores, Bologna 1927-28 (Zanichelli, 1972)

MALATERRA, GEOFFREY (2005). Le gesta del conte Ruggero di Calabria e Sicilia e di suo fratello duca Roberto Guiscardo. Tradotto da Wolf, K. University of Michigan Press Battaglia di Cerami

SCELSI ISIDORO, Gratteri. Storia, cultura e tradizioni, Palermo 1981, rist. Tip. Valenziano, Cefalù, 2008

ZEZZA BEPPE, Storia: la battaglia di Cerami in Lalampadina.net, 2015

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