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Via Arcaria: le carceri dell'antico castello

Da Piazzetta Scala, non potete non scoprire un vicolo nascosto dietro un abbeveratoio di pietra dove si apre una strada acciottolata ai piedi dell’antica fortezza. Da quello slargo è possibile ancora intravedere quello che rimane delle mura dell’antico castello oltre che la vista del campanile della Vecchia Matrice. È la Via Arcaria che prenderebbe il nome dagli archi o gallerie sottostanti all’originario castello.

Si dice infatti, che in questa zona esistessero dei passaggi collegati con le carceri dell’antica fortezza dei Ventimiglia. Sebbene oggi il castello sia completamente distrutto, fino ai primi dell’Ottocento erano ancora visibili parecchie stanze e il carcere demoliti con il pretesto di prelevare il materiale edilizio per la costruzione della Nuova Chiesa Madre (Scelsi I., p.36).

Le carceri del castello di Gratteri sono note per l’oscura vicenda di don Francesco II Ventimiglia, signore di Gratteri, che fece rapire nel 1359 da certi suoi sgherri il vescovo di Cefalù Niccolò De Burellis, che venne fatto morire di inedia in quel carcere per aver difeso energicamente i beni della chiesa e in particolare il caricatoio frumentario di Roccella (Pirri Rocco, Sicilia Sacra, Palermo, 1733, p.809).

Si dice che il suo corpo venne ritrovato privo di vita in ginocchio e con gli occhi al cielo. Una storia (molto simile) diametralmente opposta a quella del Conte Ugolino della Gherardesca raccontata da Dante nella Divina Commedia, che venne rinchiuso crudelmente nel 1289 dall’Arcivescovo Ruggieri nella torre della Muda di Pisa e fatto morire di fame nel 1289 brancolando nel buio.

Ad ogni modo, sparsasi la funesta notizia della morte del vescovo di Cefalù, tutto il Clero ed una gran folla di popolo da Cefalù si recò a Gratteri per prelevare il cadavere che con gran pompa fu traslato a Cefalù. Il suo corpo si trova oggi tumulato nella sagrestia della Cattedrale di Cefalù (Scelsi 1981, p. 100).

Per quanto riguarda il campanile invece, esso faceva parte della cappella personale dei Signori Ventimiglia e venne rinnovato nel 1925 dall’emerito cittadino Carmelo Cirincione. Esso ospita ben sette campane che venivano suonate contemporaneamente durante i giorni di festività, anche con particolari rintocchi le “ntravate” per il richiamo dei confrati.

Fino alla metà del secolo scorso veniva ancora suonato il Padre Nostro all’alba e l’Ave Maria al tramonto con una lunga corda che arrivava fino a Piazzetta Scala dove si trovava l’abitazione del sagrestano. Una di queste campane riporta ancora la data del 1390. Quella del Rosario invece è del 1712 e proviene da una omonima chiesa oggi non più esistente.

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